Time to Competency: una metrica strategica per guidare l’autonomia professionale

11 aprile 2025
Ragazza che lavora da casa al pc.

Nel linguaggio della formazione e dello sviluppo organizzativo, il Time to Competency (TtC) rappresenta il tempo necessario affinché una persona diventi pienamente competente e autonomanello svolgimento delle attività chiave di un ruolo. È una metrica tanto intuitiva quanto strategica: non va solo misurata, ma soprattutto progettata, gestita e comunicata.

Il punto di partenza: il Job, non la persona

Un approccio maturo al TtC parte dal ruolo, non dalla persona. Il Time to Competency va infatti definito sulla base delle caratteristiche oggettive del job, in particolare delle attività core, dei livelli attesi di autonomia decisionale e delle interazioni funzionali richieste. Questo tempo costituisce il riferimento standard per un apprendimento “in condizioni medie”, utile per guidare l’onboarding e confrontare esperienze nel tempo.

L’adattamento: la persona e il contesto

Una volta fissato il TtC di ruolo, è essenziale personalizzarlo tenendo conto della persona inserita: esperienze pregresse, capacità di apprendimento, conoscenza dell’ambiente organizzativo, condizioni personali e livello di engagement iniziale. Ma questo adattamento non può rimanere implicito: deve essere formalizzato in un piano, anche orientativo, esplicitamente condiviso con il lavoratore.

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Il piano

Dovrebbe:

  • delineare fasi progressive di apprendimento e responsabilizzazione;
  • prevedere il supporto formativo o relazionale più adatto (coaching, affiancamento, accesso a risorse digitali);
  • identificare punti di verifica intermedi;
  • indicare eventuali azioni correttive o accelerative.

Idealmente dovrebbe essere tracciato in sistema aziendale o, di ripiego, attraverso archiviazione condivisa tra manager e persona inserita.

Il TtC va espresso in mesi, non in anni

Un elemento chiave troppo spesso trascurato riguarda la scala temporale utilizzata. È prassi comune associare la piena seniority in un ruolo complesso a una prospettiva di 2-3 anni.

Ma il Time to Competencynon è un sinonimo di piena seniority: è il tempo necessario per operare con autonomia e competenza base nel ruolo.

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Per questo, il TtC deve idealmente essere espresso in mesi, non in anni. Lavorare su obiettivi pluriennali produce due rischi opposti:

  • Demotivazione, quando il traguardo appare troppo lontano per essere percepito come raggiungibile;
  • Svalutazione dell’obiettivo, quando l’orizzonte temporale troppo ampio ne riduce l’urgenza e l’impatto motivazionale.

La maggior parte delle persone ha bisogno di obiettivi di breve o medio periodo, articolati in tappe intermedie con metriche chiare e — laddove possibile — anche con momenti celebrativi per valorizzare i progressi.

Check-point condivisi: monitorare, adattare, valorizzare

Gli snodi di verifica lungo il percorso non sono solo strumenti valutativi, ma occasioni per:

  • rafforzare il dialogo tra manager e collaboratore,
  • adattare il piano di crescita alle condizioni effettive,
  • consolidare i successi e motivare al passaggio successivo.

Questi momenti, se gestiti in modo coerente e strutturato, favoriscono unacultura del feedback e della crescita progressiva, evitando sia la dispersione del potenziale, sia l’attesa passiva di una competenza “che verrà”.

Una leva strategica per manager e organizzazioni

Il Time to Competency non è solo una metrica HR: è una leva strategica per la pianificazione dei team, la gestione delle transizioni, l’ottimizzazione delle risorse formative.

Permette di:

  • stimare la piena operatività delle risorse in modo realistico;
  • evitare carichi eccessiviai team durante l’inserimento;
  • progettare onboardingdifferenziati ma coerenti;
  • collegare sviluppo e motivazione in chiave evolutiva e tangibile.

In sintesi

Il TtC è una metrica, ma soprattutto rappresenta una sintesi potente di obiettività e attenzione alla persona. Se ancorato al ruolo, adattato all’individuo, espresso in tempi motivanti e tradotto in piani condivisi, diventa uno strumento concreto per sviluppare autonomia, trattenere talento e costruire ambienti di lavoro realmente abilitanti.

Scritto da

Alessandro Reati 

Psicologo del lavoro e consulente direzionale certificato CMC-ICMCI, da oltre 25 anni si occupa di consulenza, formazione e coaching, guidando programmi di cambiamento e sviluppo organizzativo presso aziende nazionali e multinazionali, associazioni e istituzioni. Il focus dei suoi interventi è sulla valorizzazione delle risorse umane e della community professionale. Privilegia metodi di intervento partecipativi e basati sul coinvolgimento attivo. A lungo professore a contratto presso diverse università, è autore di numerosi articoli pubblicati su riviste scientifico-professionali e blog divulgativi e coautore di una decina di volumi. Scopri di più

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