Smart work = smart trust

10/06/2016
Nella mia precedente esperienza professionale, ho lavorato in un’azienda che applicava tutti i principi classici dello smart working. Il mio primo giorno mi sono trovato con un PC, un cellulare, una chiara clean desk policy per cui nulla doveva essere lasciato sulla postazione al termine della giornata ed una segretaria che mi suggeriva di scegliere una delle postazioni libere a mio piacimento. E’ stato il mio primo contatto con il rutilante mondo dello smart working e ad un primo impatto ho pensato “Evviva, questo sì che si chiama lavorare!”. Poi però alcune cose non sono andate secondo le attese.Lo smart working si basa su 3 leve: spazi aziendali che vanno ottimizzati per diverse attività lavorative, tecnologia smart per cui “your office is where you are” e un management dove la fiducia è il fondamento di tutto. La felicità dei dipendenti è l’obiettivo.Se la fiducia è il punto essenziale, possiamo lavorare sull’assunto per cui smart work = smart trust. Parliamo di fiducia nella persona, fiducia nelle sue competenze e nella sua correttezza, fiducia nei colleghi, fiducia da parte dei capi.Parlare di fiducia smart, intelligente, significa dare ampia delega nello scegliere il modo migliore di organizzare la propria giornata: non importa a che ora si arriva, se si lavora da casa o in ufficio, se si finisce alle 16.00 o alle 22.00. Il peso della gerarchia sfuma, le scrivanie diventano semplici postazioni, il capo lavora fianco a fianco con i suoi riporti, si riducono gli uffici chiusi e l’open space è la regola, niente più foto di figli, cani, gatti o librerie con i testi di management alla moda.Quello che importa è il contributo del professionista, il suo valore aggiunto, il risultato finale. Come ci si organizza per raggiungerlo è una scelta personale. Ampia delega (con criterio) e fiducia nel collaboratore quindi, ma anche obiettivi chiari, regole definite, accordi di performance win win specifici, feedback continui e trasparenti tra capo e collaboratore.Come in tutte le organizzazioni ad alta fiducia, l’obiettivo è aumentare il livello di innovazione della struttura, grazie a scambi di idee e punti di vista più rapidi ed efficaci. Nello stesso tempo avere la libertà di organizzare la propria vita professionale e personale, sentire che l’azienda si fida e valorizza il proprio contributo aumenta il senso di appartenenza e la motivazione a restarvi. Lavoratori felici sono chiaramente più produttivi, ma sono soprattutto fonte di innovazione, cambiamento, idee. Per questa ragione lo smart working è la normalità nelle società più innovative della Silicon Valley.Quindi lo smart working è l’uovo di colombo di un modo di lavorare più produttivo e realmente efficace? Per certi versi è innegabile, ma con qualche elemento di attenzione. Perché per alcuni dietro la facciata del termine alla moda, a volte si nasconde solo la semplice esigenza di ridurre il costo degli uffici e delle postazioni di lavoro; non bastano uffici ristrutturati da architetti alla moda per poter parlare di smart working se non cambia in profondità la relazione capo collaboratore su base fiduciaria.Concludo tornando all’esperienza con cui ho iniziato, per raccontarvi cosa è successo dopo qualche mese. Le postazioni, giorno dopo giorno, sono state occupate dalle stesse persone: anche se non formalizzato, ognuno riconosceva il proprio posto. Sono riapparse le foto di mogli e figli, le frasi motivazionali, i paesaggi dell’ultima vacanza quasi a segnare il proprio territorio. Per esigenze di privacy alcuni uffici sono tornati ad essere riservati. Il lavoro da casa invece è rimasto l’aspetto più gradito perché permetteva di rendere compatibile le proprie esigenze personali con i ritmi di lavoro, ma anche in questo caso senza scelte estreme. Le persone avevano necessità di essere in ufficio, sentirsi parte di un gruppo e di una comunità per scambiarsi informazioni e punti di vista; ricercavano una ruotine giornaliera che li rassicurasse, evitando i rischi della solitudine di un lavoro home-based.Le persone devono sentire che lo smart working è un premio, una scelta reversibile, il riconoscimento di una professionalità, non un’imposizione o peggio ancora un’esigenza di riduzione di costi travestita da innovazione. Altrimenti non funziona, perché mina la fiducia verso l’organizzazione e, come diceva Thomas Friedman “nessuna organizzazione a bassa fiducia ha mai prodotto innovazioni vere”.Mario De LucaMario De LucaFranklinCovey Division Director
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