Diversità e inclusione: una nuova prospettiva multigenerazionale

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La globalizzazione e il rapido sviluppo tecnologico promuovono ambienti di lavoro sempre più multiculturali, multilingue, multidisciplinari e multigenerazionali. Questa molteplicità porta con sé differenze socioculturali, esperienziali e ideologiche che, da un lato, possono essere molto arricchenti - in quanto favoriscono livelli più elevati di creatività, innovazione e competitività nei team - ma dall'altro, tuttavia, possono anche rivelarsi un'enorme sfida e una fonte di conflitto nelle organizzazioni.

Perché? Perché a volte la differenza di mentalità può essere così marcata che lo scontro generazionale che ne deriva può compromettere la relazione (e di conseguenza l'impegno, la fiducia e le prestazioni) dei membri del team di fronte alle loro diverse opinioni e reazioni a comportamenti, pratiche, metodi di lavoro o politiche organizzative.

Il tema della diversità e dell'inclusione (D&I) non fa eccezione. Nello studio internazionale "Diversità e inclusione nelle organizzazioni: challenges and competences of a cultural transformation", condotto dal Gruppo CEGOS su 4.007 dipendenti e 420 Direttori e Manager delle Risorse Umane di Portogallo, Spagna, Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Brasile, emerge chiaramente che sono i professionisti più giovani (18-34), i manager e i dipendenti più qualificati a percepire e ripudiare più facilmente situazioni di discriminazione e comportamenti "tossici" sul posto di lavoro, a differenza dei dipendenti più anziani (50-64), dei non manager e dei lavoratori meno qualificati, che sono più apatici e persino permissivi in materia.

Sebbene il 63% dei dipendenti ammetta di aver subito discriminazioni per l'aspetto fisico, l'età, il genere, la nazionalità o l'orientamento sessuale, solo il 49% si considera "promotore" della diversità nella propria organizzazione e l'11% "difensore attivo" - il 40% si dichiara "indifferente", "scettico" o addirittura "critico", il che dimostra che la strada da percorrere in termini di D&I è ancora lunga.

Nonostante le tendenze evidenziate in questo studio, i comportamenti razzisti, xenofobi, pregiudizievoli e discriminatori sono verificati, combattuti e considerati inaccettabili dai professionisti di tutte le generazioni - e attualmente sono quattro nel mercato del lavoro: Baby Boomers (1946-1964), Generazione X (1965-1980); Generazione Y o Millennials (1981-1996) e Generazione Z o Zoomers (1997-2010). Tutti hanno esigenze, valori e percezioni del mondo molto specifici e persino antagonisti che, curiosamente, finiscono per completarsi a vicenda.

Si pensi, ad esempio, alla saggezza e all'esperienza di alcuni che si contrappone al ribellismo e alla dirompenza di altri; a chi privilegia l'attenzione e la concentrazione ma lavora efficacemente con il multitasking; alle nuove forme di comunicazione tra chi preferisce ancora le conversazioni faccia a faccia e chi è nato con le applicazioni mobili; agli ambienti di lavoro ibridi che mettono insieme spazi analogici e digitali; al "workaholism" che oggi si alterna alla flessibilità e a un maggiore equilibrio personale/professionale; agli orizzonti che la rete ha contribuito a creare.

Orizzonti che internet ha contribuito ad aprire, facendo risuonare anche "qui" movimenti internazionali come #TimesUp, #BlackLivesMatter, #MeToo o #LGBTQIA.

La formazione, la sensibilizzazione, la coltivazione dell'empatia e il dialogo sono la chiave per alimentare un ambiente di intelligenza collettiva e collaborativa in cui tutte le generazioni hanno il loro spazio, conoscono il loro valore e sono disposte a imparare dai loro "punti di forza e di debolezza". Alla fine, invece di scandalizzarsi, potranno convivere tutti insieme e contribuire positivamente a un luogo di lavoro più tollerante e inclusivo.

Articolo di: Maria João Ceitil, Responsabile Talent&Innovation di Cegoc e Direttore Generale di FranklinCovey in Portogallo

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