Mirko è un manager a capo di una struttura composta da 8 persone, profili caratterizzati da un’età variabile intorno ai 35 anni, per lo più laureati e dotati di un medio livello di seniority professionale. Luca è una di queste risorse. Pur sentendosi, come gli altri, molto stressato per una serie di fattori che contraddistinguono quell’ambiente di lavoro, diversamente dai colleghi ha scelto di esternare questo suo malessere a Mirko.
L’oggetto del contendere non è il braccio di ferro che ne può emergere ma il livello di performance di questo gruppo che negli ultimi 18 mesi è andato via via peggiorando.
Si intrecciano una serie di questioni:
- la transizione generazionale,
- lo stile di management,
- i processi e gli strumenti di lavoro,
- la cultura aziendale.
Molte altre, per la verità, sono le tematiche che si aprono a questo riguardo, ma queste sono certamente tra le più rilevanti.
Luca appartiene alla generazione “Millennials”, intende il lavoro in modo diverso, coerentemente con quella che è stata la sua vita e quella che vorrebbe fosse la sua esperienza professionale.
Mirko è cresciuto imparando ad essere manager in una specifica organizzazione, assorbendo e mettendo in pratica uno specifico modello organizzativo. Luca invece si aspetta:
- trasparenza informativa,
- rispetto personale,
- un confronto anche informale,
- uno scambio frequente di feedback, inclusi gli apprezzamenti per il buon lavoro svolto e ancora,
- si aspetta di avere un capo che si mostri affidabile, capace e garantisca “protezione” verso i rischi a cui il mercato espone il singolo.
Mirko è un manager guidato dall’ottimizzazione della performance attraverso l’applicazione scrupolosa dei processi, l’impiego attento degli strumenti aziendali, l’interpretazione “genitoriale” di un ruolo che lascia poco spazio alla relazione interpersonale paritaria, alla condivisione e al ruolo di manager-coach, quanto piuttosto di manager-capo.
Il problema non è Luca e non è Mirko, quanto piuttosto il crearsi di una voragine tra le aspettative dell’uno (degli uni) e la chiave di lettura dell’altro. Questa voragine genera uno stress controproducente rispetto alla performance desiderata. Sebbene il desiderio di realizzare una buona performance sia davvero l’unico punto in comune, le due parti stanno su due sponde opposte dello stesso fiume.
Quale livello di stress è ottimale all’interno di un’organizzazione? In quale modo si può governare tale livello? Quali fattori peggiorano/migliorano la percezione dello stress in un’ottica di ottimizzazione della performance?
Molte le implicazioni in chiave formativa rispetto a quanto precede:
- MANAGEMENT & COACHING: per la conoscenza dei fondamenti del management ed eventualmente il possesso di nozioni di management avanzato, l’accompagnamento di un team alla realizzazione di un obiettivo, lo scambio dei feedback, la gestione dei conflitti, la delega e la responsabilizzazione.
- PERSONAL DEVELOPMENT: per la gestione delle relazioni interpersonali, il self-empowerment, l’intelligenza emotiva e la gestione dello stress, la negoziazione manageriale, le tecniche di comunicazione.
- HR & ORGANIZATION: per la comunicazione interna, l’analisi organizzativa, l’approccio per processi.