Sommario
- Cosa definisce la Generazione Z
- Una generazione difficile da gestire? I pregiudizi da sfatare
- Costruire relazioni fluide tra manager e Generazione Z
- Come mantenere la Gen Z coinvolta
- Pratiche e rituali per rispondere alle aspettative della Gen Z
- Quali sono i maggiori problemi di gestione che stanno allontanando la Generazione Z?
- L’importanza della formazione per gestire le nuove generazioni

Imparare a gestire la Generazione Z non è un tema secondario per le aziende.
Hanno tra i 17 e i 30 anni e nel 2030 rappresenteranno un terzo della forza lavoro mondiale.
In un contesto in cui l’attrattività delle organizzazioni è una sfida sempre più grande, reclutare e integrare la Generazione Z è diventato anche un vero banco di prova per i manager.
Cosa definisce la Generazione Z
Sono nati tra il 1994 e il 2007.
«La Generazione Z somiglia per certi aspetti ai Millennials», spiega Annette Chazoule, manager dell’offerta Management e Cambiamento in Cegos.
«Tuttavia, si distingue per un desiderio ancora più forte di libertà rispetto al lavoro. Vuole sentirsi libera e può cambiare rapidamente posto se non si trova bene. È aperta a nuove esperienze, anche fuori dal proprio percorso di studi, e rivendica con forza un equilibrio tra vita personale e professionale.»
Va ricordato che questa generazione beneficia di un mercato del lavoro in carenza di manodopera e di una vera “guerra dei talenti”.
È anche il prodotto del proprio tempo:
«Ciò che definisce una generazione è ciò che ha vissuto dalla nascita ai 25 anni. Questa ha visto genitori o fratelli maggiori soffrire nel lavoro e cresce in un contesto carico di ansia: terrorismo, incertezze, crisi ambientale.»
Ne deriva un distacco consapevole dal mondo del lavoro, accompagnato da una forte ricerca di realizzazione personale.
Gestire la Generazione Z può sembrare complesso, ma non è impossibile.
Una generazione difficile da gestire? I pregiudizi da sfatare
Secondo Annette Chazoule, molte idee diffuse sulla Gen Z sono fuorvianti.
E, spesso, possono trasformarsi in punti di forza per l’azienda, se comprese e valorizzate.
“Non sono impegnati?”
«Falso. Si impegnano, ma a condizione che il lavoro non assorba tutta la loro vita. In un contesto incerto, investono molto nella sfera privata, ma non significa che trascurino quella professionale.
Anzi, lavorano spesso in modo più efficiente, evitando il presentismo.
Si aspettano inoltre il rispetto di valori chiari — elementi oggi fondamentali anche per la sostenibilità e la responsabilità sociale.
E se si sentono bene nell’organizzazione, restano fedeli.»
“Sono individualisti?”
«Rispetto ai Millennials, gli Z sono meno individualisti. Vengono spesso descritti come una generazione emozionale: attenti al proprio benessere, ma con un forte bisogno di appartenenza.
Mentre i Millennials tendevano a chiudersi in tribù, i Gen Z sono più collaborativi e quindi un vantaggio per il datore di lavoro.
Hanno un forte bisogno di autonomia, ma se percepiscono fiducia e responsabilità, si impegnano di più.»
“Sono troppo connessi?”
«Il loro legame con la tecnologia è reale. Parlano un linguaggio digitale e immediato. Ma questo non è un ostacolo: è una risorsa.
La loro familiarità con gli strumenti digitali favorisce organizzazioni più orizzontali, più creative e con maggiore collaborazione trasversale.»
Costruire relazioni fluide tra manager e Generazione Z
Questa generazione può spaventare i manager più esperti, ma non c’è motivo.
«Per creare relazioni fluide serve un nuovo modo di comunicare», spiega Chazoule.
La Gen Z preferisce strutture meno gerarchiche: i manager non possono più essere semplici “datori d’ordini”.
«Questi collaboratori non rifiutano l’autorità. Chi la rifiuta, spesso crea una start-up. Chi resta, invece, ha bisogno di un manager visto come una figura di riferimento, un coach o un mentore.»
Allo stesso tempo, la Gen Z vuole autonomia. «È la parte più difficile da accettare per molti manager», continua Chazoule. «Bisogna concedere libertà e responsabilità fin dal primo giorno.
E in cambio, i giovani devono sentire che i loro responsabili vogliono davvero il loro successo.»
La comunicazione va adattata:
«C’è un vero tema di competenze digitali per i manager più tradizionali.
A differenza dei Millennials, la Gen Z si aspetta feedback regolari — ma non sempre formali. Basta anche un messaggio su Teams o un commento positivo sulla piattaforma interna.»
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Come mantenere la Gen Z coinvolta
Secondo il Baromètre Carrière 2023 pubblicato dal sito web JobTeaser, il 47% dei lavoratori della Gen Z considera la retribuzione come primo criterio nella scelta di un lavoro. Ma il 68% ritiene che le azioni ambientali dell’azienda siano un fattore altrettanto importante.
«Oltre agli aspetti materiali», spiega Chazoule, «l’azienda deve essere un motore di valori: inclusione, diversità, sostenibilità.
Per mantenere il coinvolgimento, bisogna coinvolgerli su cause sociali e ambientali. Le imprese hanno bisogno di loro per cambiare prospettiva, trovare una direzione. È essenziale per trattenere i talenti e per rispondere alle nuove metriche ESG.»
La chiave è rispettare il loro bisogno di valori, senso e autonomia.
«Serve un lavoro costante per mantenerli motivati, anche sapendo che qualcuno vorrà cambiare strada. In questi casi si può sostenerli in progetti di intrapreneurship, continuando a collaborare diversamente.»
Pratiche e rituali per rispondere alle aspettative della Gen Z
Pratiche e rituali per rispondere alle aspettative della Gen Z
Il coinvolgimento passa dal benessere dei dipendenti.
«Servono azioni concrete: non basta un corso di yoga o cucina ogni tanto», dice Chazoule. «Conta la qualità umana della relazione.
Non solo riunioni formali, ma anche momenti informali e regolari — un caffè, una chiacchierata.»
Rituali e ascolto attivo diventano fondamentali:
«Si possono creare gruppi di co-sviluppo per condividere le difficoltà, avviare programmi di mentoring, organizzare sessioni di formazione interne e interfunzionali. A volte basta far dialogare due colleghi per sciogliere un nodo o migliorare la relazione con un cliente.»
Quali sono i maggiori problemi di gestione che stanno allontanando la Generazione Z?
Capire questi aspetti significa individuare le insidie da evitare per trattenere i talenti e mantenere alto il loro livello di coinvolgimento.
«Tutto inizia con il colloquio di selezione e con le discussioni sulle modalità di lavoro», afferma Chazoule.
«Non bisogna offendersi se una delle prime domande riguarda il telelavoro. Un errore comune è prometterlo solo dopo sei mesi: perché aspettare? I collaboratori devono potersi organizzare subito. Bisogna fidarsi a priori, non a posteriori.» Un vero e proprio cambio di paradigma manageriale.
Nel quotidiano, tutto ciò che è stato promesso in fase di assunzione deve poi tradursi in pratica. «Questo vale per l’equilibrio vita-lavoro, la flessibilità degli orari, ma soprattutto per il rispetto dei valori aziendali dichiarati.»
Infine, i manager devono instaurare la relazione che la Generazione Z si aspetta: ispirare senza essere autoritari, essere assertivi senza essere direttivi.
L’importanza della formazione per gestire le nuove generazioni
In un contesto di forte competizione, gestire la Generazione Z è un’abilità da sviluppare.
«Occorre migliorare costantemente le competenze digitali», spiega Chazoule. «I manager non possono restare indietro rispetto ai giovani: è essenziale per capirsi e comunicare.»
Nelle formazioni che conduce, Chazoule parte da un’autodiagnosi:
«Come mi percepiscono come manager?
Da lì lavoriamo sul cambiamento dell’atteggiamento manageriale.
Dopo aver analizzato il rapporto al lavoro di ciascuno e le vere motivazioni, cerchiamo di conciliarle con le esigenze dell’organizzazione.
Serve dare senso, incoraggiare per coinvolgere e stimolare le iniziative.
L’obiettivo è un cambio di prospettiva: diventare un manager coach ispirante, capace di accompagnare e far crescere.
Solo così possiamo capirci davvero e costruire insieme qualcosa di grande.»
Leggi l'articolo di Annette Chazoule in lingua originale.