Intelligenza Artificiale in Italia: opportunità, rischi e competenze per il futuro

Intelligenza Artificiale in Italia: opportunità, rischi e competenze per il futuro

Emanuela PignataroHead of Execution - Head of Business Transformation
Persona che lavora con l'intelligenza artificiale

La notizia della cinese DeepSeek che ha fatto tremare l’Occidente e poi è misteriosamente scomparsa da ogni radar ha reso ancora più intensa la luce dei riflettori puntati sull’Intelligenza Artificiale.

Ma cosa sta succedendo in Italia? A che punto siamo? Lungi dall’essere uno scenario futuribile, l’AI è già molto presente nel quotidiano di tutti noi, che utilizziamo di fatto strumenti integrati spesso senza neanche rendercene conto: i traduttori automatici, i sensori delle automobili, le “badanti” virtuali SIRI, Alexa, etc. giusto per citarne uno zero virgola.

Una recente ricerca del portale dedicato alle tecnologie applicate al mondo del lavoro “ZeroUno” riporta che il 37% degli italiani dichiara di utilizzare l’AI. E stiamo parlando di quelli consapevoli.

Del resto si tratta di un mercato che ha raggiunto i 900 M€ nel 2024 (fonte NetConsulting) dopo una crescita del 52% nel 2023 sul 2022.

Principali protagoniste le grandi aziende, in particolare dei settori telecomunicazioni, bancario-assicurativo, energia, mentre le piccole al momento non riescono ad andare oltre le dichiarazioni d’intenti, non foss’altro per un tema di budget. Elaborazione dei dati, ricerca di informazioni attraverso “conversazioni”, attività di supporto per pianificazioni e confronti, generazione di testi, immagini e video sono gli ambiti in cui si usano maggiormente le app di AI, nelle aziende così come nel privato, passando dalla pianificazione di progetti ad alta complessità all’organizzazione delle vacanze oltreoceano, dal benchmark per il monitoraggio strategico della concorrenza alla mappatura dei prezzi delle pappe del gatto.

Qual è il vissuto delle persone?

IlBarometerCegos 2024 - frutto di una survey che ha interessato circa 5.000 dipendenti e 470 aziende in 9 paesi europei e non solo- ha rilevato come il 31% degli intervistati si aspetti che l’AI faccia scomparire il proprio ruolo, a fronte di più ottimistiche attese da parte delle imprese: le funzioni HR ritengono a rischio nei prossimi tre anni un più contenuto 19% dei ruoli.

È peraltro ormai piuttosto consolidata la narrazione in base alla quale ad essere sostituiti massivamente dall’AI saranno in realtà i task operativi, ripetitivi, così da consentire alle persone di dedicarsi alle attività a maggior valore e da indurle a vedere nell’AI non più una minaccia quanto un’alleata in grado di offrire assistenza e supporto ma anche di potenziare le capacità umane, “aumentandole”. A patto che la si sappia governare e si sia consapevoli dei non pochi rischi che sono collegati al suo utilizzo: la possibilità di imbattersi in bias e di perdere la bussola nell’impressionante mole di informazioni disponibili, la non sempre granitica sicurezza dei dati ma soprattutto l’effetto “oracolo” che induce a prendere per oro colato qualunque tipo di output, anche il più improbabile, perdendo la propria capacità critica e scivolando in un pericoloso eccesso di fiducia.

Per contro -è innegabile- le opportunità offerte dall’AI sono davvero infinite, considerate le sue innumerevoli applicazioni di utilizzo e considerato il fattore chiave che ne determina il successo: l’AI riesce incredibilmente a coniugare la qualità con la velocità delle cose, due dimensioni che finora erano sempre state concepite come inversamente proporzionali (“per un risultato di qualità occorre tempo"; “per ridurre i tempi occorre sacrificare la qualità”).

Alla consapevolezza di rischi e opportunità legate all’AI va poi affiancata quella relativa alle competenze delle persone. Che visione ne hanno aziende e lavoratori? Il Barometer Cegos evidenzia come sia le une che gli altri vedano nello sviluppo delle skill digitali, AI inclusa, una leva strategica per la crescita; lo pensano il 78% dei dipendenti intervistati e il 90% delle imprese. Tra le scrivanie serpeggia anche una certa coscienza (27% degli interpellati) di non possedere il set di competenze adeguato a ricoprire il proprio ruolo, a maggior ragione in relazione ai profondi cambiamenti che quest’ultimo sta vivendo.

Quale quindi la dotazione imprescindibile per tutti noi?

Dalle skill digitali non si scappa (43%) ma le funzioni HR intervistate convergono nel ritenere fondamentali anche le competenze soft (35%) e quelle manageriali (38%) e raccontano di cercare di svilupparle nelle persone nei loro attuali ruoli (62%) oppure di puntare sul recruiting di profili già skillati. Intelligenza emotiva, empatia, pensiero critico, senso etico, creatività, attitudine a imparare continuamente, predisposizione al lavoro in gruppo sono i capispalla dell’armadio che ci consentiranno di “aumentare” a nostra volta l’AI con ciò che -almeno ad oggi- le manca: il fattore umano.

Scopri di più sulle tendenze globali nelle competenze e nel learning & development leggendo il report completo qui

Scritto da

Emanuela Pignataro

Laureata in giurisprudenza, giornalista pubblicista, lavora per otto anni in Adecco Italia come Responsabile di filiale, Sales Area Manager e Business Development Manager di servizi per le funzioni HR, formazione inclusa. In Edenred amplia il proprio orizzonte ai servizi Incentive per le Direzioni Commerciali e Marketing. In EF Education come Regional Sales Manager sviluppa gli uffici periferici dell’azienda e gestisce progetti di Indirect Sales dedicati ai soggiorni linguistici all’estero. Nel 2014 torna al primo amore -la formazione aziendale- e approda in Cegos Italia come Business Development Manager prima, Head poi, della divisione Open Courses. Nel 2021 è responsabile del nuovo dipartimento Innovation & Solutions dedicato all’ampliamento dell’offering aziendale. Dal 2022 affianca al focus sull’offering aziendale il ruolo di Head of Execution, presidiando la “messa a terra” di tutti i corsi e progetti formativi gestiti dall’azienda. È appassionata di gatti, vela, viaggi.
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